top of page
Cerca
  • Immagine del redattorePaola Dei Medici

Quando parliamo di sofferenza psicologica, veramente si tratta di curare?

Aggiornamento: 4 mag 2020

Che cosa significa veramente curare in un ambito come quello psicologico?

Quando una persona decide di rivolgersi a uno psicoterapeuta generalmente si è già costruita una soluzione, e questa soluzione, il più delle volte, si chiama sintomo. Sopprimere il sintomo, nel caso di un disturbo psicologico, significa anche eliminare la soluzione che la persona ha trovato, probabilmente l’unica sostenibile in quel preciso momento. Inoltre, se una persona persevera in un comportamento, relazione o stato d’animo, per quanto disfunzionale, va da sé che ne trae anche dei vantaggi a qualche livello di sé, altrimenti quel comportamento non avrebbe ragione di esistere. Ciò che conta, allora, non è come si interviene, ma l’atteggiamento di chi riconosce al disturbo una sua motivazione logica, un’intelligenza, una dignità, una funzionalità anche se su piani che sfuggono all’evidenza. Questo richiede un approccio terapeutico che vada più precisamente nel senso etimologico della parola. Terapia deriva dal greco therapeia, ovvero servizio, accompagnamento.

Il terapeuta è colui che accompagna e assiste il processo di crescita dell’altro, mettendo a disposizione della persona le informazioni che, in base alla propria intuizione, esperienza, creatività e in base al proprio sentire appaiono opportune e necessarie per sostenere il processo in corso, non per interromperlo. Se il disturbo o il disagio che si avverte è sempre la migliore soluzione temporanea a disposizione in quel preciso momento, sulla base delle informazioni di cui si dispone, allora l’obiettivo della terapia è ampliare queste informazioni, per arrivare a poter adottare soluzioni più opportune e funzionali.

Se il terapeuta è veramente esperto di qualcosa, egli è esperto di atipicità, ovvero di unicità.

Sa come salvare dall'omologazione il mondo soggettivo della persona, proteggendola dalla tentazione di considerarsi tipico. La persona si aspetta una diagnosi tipizzante ed è invece costretto a fare i conti con la sua unicità.

Ognuno di noi ha il diritto di esprimere i propri bisogni esistenziali e di cambiamento, perché nella psicologia umana, non esiste una norma biologica come in medicina, ma solo norme sociali e culturali rinegoziabili dalle persone stesse, che a loro volta cambiano la società. Alla luce di questo, la richiesta stessa da porre all’esperto potrebbe essere immaginata in modo diverso. Non più: “Dottore mi curi”, ma:

“Dottore mi aiuti a cambiare, a costruirmi un presente in cui la sofferenza mi dia tregua attraverso la costruzione di relazioni e comportamenti capaci di trasformarmi in chi ho sempre voluto diventare, nonostante i miei fallimenti. Oppure mi aiuti a diventare altro da quello che penso di essere in questo momento e che non mi soddisfa. O mi aiuti ad accettare che non posso piacere a tutti, ma son felice come sono. Mi aiuti ad accettare che il mondo può essere ingiusto, come le persone che mi hanno fatto male, e che quel dolore non mi faccia rinunciare alla vita che mi rimane. Mi aiuti ad acquisire il diritto di vivere nella forma che ritengo più adeguata per me stesso, senza nuocere a me e agli altri. Dottore , mi aiuti a diventare come sono e non come ho creduto di essere in virtù della mia storia"


Poste così, le risposte non possono più essere prodotte solo dalle case farmaceutiche, ma da politiche di socializzazione, di sensibilizzazione alla comprensione della diversità, delle variegate possibilità umane, di democrazia del pensiero e delle ricchezze esistenziali. Se il problema è soffro e vorrei smettere di farlo, allora la soluzione non può essere soltanto in una molecola chimica, ma nel desiderio di costruire felicità. Promuovere un cambiamento nella realtà che l’altro abita permette di cambiare anche le esperienze di ciò che è configurato come sentire.

A noi esperti di sofferenza umana il compito di offrire gli strumenti adeguati a ricostruire vite distrutte dal dolore, al fine di contribuire alla costruzione di nuove possibilità narrative ed esistenziali con le persone che incontriamo nei nostri salotti terapeutici. Che poi, a voler essere precisi, non è in un – luogo fisico– che ospitiamo le persone che incontriamo, ma in una – relazione costruttiva -, quella che diventa propulsore del cambiamento in chi parla e in chi ascolta, a turno, uno per volta, in un processo di comprensione e riconoscimento reciproco. Detto questo, siate esigenti con i professionisti a cui chiedete consulenza, e non, soltanto, “pazienti”.


Bibliografia

Quarato M. (2019), Secondo, non siate pazienti ma esigenti, responsabili…e correttamente informati. La sofferenza psicologica non è un disturbo mentale!

Tolja J., Speciani F. (2000), Pensare col Corpo, TEA

Clemente P. M. (2010), Io addio. Crisi dell'individuo e psicoterapia, Armando Editore, Roma.

47 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page