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Immagine del redattorePaola Dei Medici

Da cosa guarisce la psicoterapia?

Aggiornamento: 15 gen 2020


La premessa migliore da cui partire, per analizzare adeguatamente l’idea di guarigione in un campo come quello psicoterapeutico, è vedere come le tematiche incontrate nella clinica psicoterapeutica si riconducano spesso a problemi di ordine relazionale e quindi affettivo. Quando una persona decide di rivolgersi a uno psicoterapeuta si è già costruito una soluzione, e questa soluzione si chiama sintomo. Questo è il motivo per cui la psicoterapia non può essere una terapia semplicemente soppressiva del sintomo. Sopprimere il sintomo, nel caso di un disturbo psicologico, significa anche eliminare la soluzione che la persona ha trovato.

Non ha trovato, evidentemente, la soluzione migliore per sé, infatti le procura sofferenza, ma è comunque una soluzione. Il sintomo non è soltanto un disturbo, un intralcio, qualcosa che contrasta la vita, ma è anche una via di uscita che il soggetto ha trovato per gestire conflitti, presumibilmente inconsapevoli.


Ciò che conta, perciò, non è come si interviene, ma l’atteggiamento di chi riconosce al disturbo una sua motivazione logica, un’intelligenza, una dignità, una funzionalità anche se su piani che sfuggono all’evidenza. Questo richiede un approccio terapeutico che vada più precisamente nel senso etimologico della parola.

Terapia deriva dal termine greco therapeia, ovvero servizio, accompagnamento.

Il terapeuta è colui che accompagna e assiste il processo spontaneo di crescita dell’altro, mettendo a disposizione della persona le informazioni che, in base alla propria intuizione, esperienza, creatività e in base al proprio sentire appaiono opportune e necessarie per sostenere il processo in corso, non per interromperlo.

Suona abbastanza presuntuoso eliminare una malattia, un disagio una difficoltà senza curarsi del senso profondo che può avere per la persona, sostituendosi, in quanto medici/psicoterapeuti, con le poche informazioni che si possiedono sull’altro all’enorme quantità di informazioni a disposizione dell’organismo della persona che si ha davanti, pretendendo di spiazzare con le proprie certezze e con le proprie conclusioni l’altrui processo spontaneo di crescita.

È per questo che un elemento chiave di ogni terapia che funzioni è il rispetto, ovvero il senso della sacralità del processo in corso nella persona che abbiamo di fronte.

Se il disturbo o il disagio che si ha è sempre la migliore soluzione a disposizione in quel preciso momento, sulla base delle informazioni di cui si dispone, allora l’obiettivo della terapia è ampliare queste informazioni, per arrivare a poter adottare soluzioni più opportune e funzionali. Ma se sopprimiamo dall’esterno quel tipo di organizzazione, quella malattia o quel disagio, l’organizzazione che ne verrà fuori non potrà che essere di seconda scelta di nome e di fatto e, quindi, meno appropriata ai bisoogni della persona. E non solo: dal momento che molte volte l’acquisizione delle informazioni porta a scoprire che la posizione in cui ci troviamo – che spesso chiamiamo disagio – continua a rimanere la migliore per noi in quel momento, in una grande quantità di casi, guarire significa osservare, comprendere e onorare quello che succede dentro di noi.



Bibliografia

Jader Tolja, Francesca Speciani (2000), Pensare col Corpo, TEA
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